Popolo senza sovranità, ma diventa “populista” se si ribella

set 15, 2012 0 comments
Di  Romano Bracalini
l popolo che si ribella, o solo mostra insofferenza alle direttive della tecnocrazia europea, ha una sua aggettivazione spregiativa in “populista”. Parola di cui si è fatto un uso intimidatorio in questi ultimi giorni. Il potere vessatorio, con tratti di autoritarismo come non si ricordava da tempo, riunisce sotto la specie populista, che ha il suo equivalente in qualunquista, tutti coloro, che a vario titolo, dissentono dalle linee imposte da questa Europa. Dissentire è un diritto democratico garantito da ogni Costituzione civile. Ma nel nuovo ordine  finanziario mondiale, che segue i sogni visionari e apocalittici di Napoleone e Hitler, parrebbe piuttosto che la democrazia sia un inutile orpello da eliminare. Chi dissente incorre nella condanna comminata dalla nuova Inquisizione. Populisti i due milioni di catalani, sui sette che ne conta la Catalogna, che martedì 11 settembre hanno sfilato per le vie di Barcellona per chiedere l’Indipendenza da Madrid (nella foto). Populisti i partiti antieuropeisti che si stanno affermando nell’Est Europa e nei Balcani. Populisti gli indipendentisti italiani che vogliono un nuovo assetto nazionale del Nord Italia, populisti i sudtirolesi che non smettono di sognare il ricongiungimento con la madre patria austriaca. Populisti gli indipendentisti scozzesi, irlandesi, baschi, corsi, savoiardi  che vogliono riappropriarsi della loro storia. C’è un fermento nuovo di libertà tra le nazionalità oppresse o cancellate d’Europa contro cui nulla potranno le  proibizioni del nuovo ordine europeo.

L’Italia d’oggi è più simile a una oligarchia che al titolo usurpato di “democrazia”. Cosa rende diversa una democrazia da una oligarchia? Anche tolto il ventennio fascista, non ravvisiamo in tutta la storia unitaria una sola epoca di democrazia sostanziale. Né prima né dopo il fascismo. Scrive Arturo Labriola, nel suo libro Storia di dieci anni 1899-1899: ”Si vede in realtà che la rivoluzione liberale, che trasforma il suddito in cittadino e il re in primo funzionario dello Stato, non ha attraversato l’epidermide degli italiani”. Il panorama politico italiano è costellato da partiti che traggono origine dal pensiero autoritario, fascismo, comunismo: c’è sempre stato un deficit di cultura liberale, così che il popolo,vezzeggiato a parole, è in realtà disprezzato dal potere, che conia contro di esso parole degradanti e offensive quando non intende conformarsi al suo comando. ”Sovranità popolare”, di cui parla la Costituzione italiana, è una falsa e vuota formula. Le elezioni in Italia sono spesso una farsa e il voto una formalità che non impegna il candidato una volta eletto. Il responso dei referendum popolari è stato stravolto e annullato quando non andava nella direzione gradita ai partiti. E’ successo col rimborso pubblico dei partiti che ha sostituito il finanziamento pubblico, con esiti anche più disastrosi per le casse dello Stato, quattrini nostri; è successo col ministero dell’agricoltura sostituito col ministero delle politiche agricole.

Se non è zuppa è pan bagnato. Nel 1946 i monarchici accusarono il governo di aver manipolato le elezioni per far vincere la repubblica. Non è provato, ma non è nemmeno escluso. L’Italia d’allora, come quella d’oggi, aveva scarsa dimestichezza con i metodi democratici. Tutto ciò avviene nei paesi in cui la “democrazia” è un simulacro o una tragica finzione, cioè nei paesi dell’Est ex comunista e nell’Islam medievale. L’Italia non è troppo lontana da quei modelli. Da noi si sono svolte spesso elezioni farsa, non solo durante il periodo fascista. La formula era piuttosto quella del plebiscito, del consenso più ampio decretato per paura o servilismo; così nel 1860 si fecero i plebisciti in Toscana e in Emilia, e poi nel Sud; nel 1866 nel Veneto, nel 1870 a Roma. All’elettore non era concessa praticamente nessuna forma di dissenso, pena l’emarginazione sociale o peggio la galera o la deportazione. Qualcosa del vecchio costume autoritario è rimasto nell’ordinamento italiano. Solo in Italia, fino a qualche tempo fa, il voto era obbligatorio e chi non aveva votato doveva risponderne al sindaco. Altrove il voto è libero. Negli Stati Uniti una grande percentuale non va a votare. Nessuno pensa che la democrazia sia in pericolo. Ma in Italia si ha bisogno dell’alibi del voto per legittimare le malefatte del potere. Col nuovo direttorio la prospettiva è cambiata radicalmente. Prima si obbligava l’elettore, adesso gli si impedisce di votare. Così si è trovato il modo di prenderlo in giro un’altra volta nominando, caso unico in Europa, un governo di tecnocrati che risponde alla BCE e a Bruxelles, ma non ai cittadini. In questo caso è stato il regime, che vuole sudditi ubbidienti e muti, a impedire che il popolo andasse alle urne. Con Monti, come al tempo dei viceré spagnoli che governavano per interposta persona, si è fatto a meno anche della finzione.

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