Trans-Pacific Partnership: il nuovo bavaglio al web

set 16, 2012 0 comments

Trans-Pacific Partnership: il nuovo bavaglio al web
Di Mazzetta
Un accordo internazionale sul commercio tenuto segreto ai parlamenti, venduto come una gloriosa innovazione e poi finito nel cestino. Ricorda qualcosa?
IL TRATTATO A SORPRESA - Il Trans-Pacific Partnership (TPP) è un testo che nelle intenzioni dei proponenti dovrebbe regolare i rapporti commerciali tra i paesi che s’affacciano sul Pacifico. Come già altri testi del genere, non è stato preparato da politici, ma da oltre 600 esperti del mondo corporate, che poi significa per lo più avvocati pagati dalle maggiori corporation. Il suo arrivo al Congresso ha finalmente acceso i riflettori su un testo che sta per essere votato al buio, letteralmente, visto che l’Office of the United States Trade Representative (USTR) ha chiesto l’approvazione di una bozza di accordo che non è stata ancora distribuita al pubblico e nemmeno agli stessi legislatori.
UN SISTEMA NUOVO - I miracoli della politica statunitense, ma non solo. Anche l’ACTA era stato ratificato da numerosi governi che hanno informato i rispettivi parlamenti a cose fatte, anche se non è bastato a riscuotere sonore bocciature, la più bruciante delle quale alla quasi-unanimità da parte del Parlamento Europeo. Per di più, alcune sezioni del trattato sono trapelate comunque e quello che hanno rivelato è sconsolante.
SOPA, IL RITORNO - Una delle sezioni riguarda la protezione del materiale protetto da copyright su Internet e ripropone, allargandole, le previsioni già contenute nel DCMA in vigore. Si tratta di cose già viste, come l’imposizione ai provider di compiti ( e relativi costi) di polizia, fino alle penalità già echeggiate che potrebbero consentire di tagliare connessioni in nome della difesa del copyright. Poco importa neppure se un regime sanzionatorio fondato sugli IP, come questo, non offre alcuna certezza di colpire i veri responsabili di una violazione.
VEDERE LE CARTE - Memori delle esperienze precedenti, alcuni senatori americani hanno già messo le mani avanti e precisato che non voteranno niente al buio, ma potrebbe non bastare. A peggiorare le cose c’è poi che il TPP, come l’ACTA, potrebbe rivelarsi pericoloso ben oltre i confini delle dispute sul copyright. Da Quello che si è saputo costituirebbe infatti un regime di privilegio per le imprese transnazionali, che in alcuni paesi potrebbero assumere il diritto a compensazioni mai viste o costringere i governi locali a farsi carico degli eventuali danni ambientali provocati da queste aziende. Gli accordi avranno infatti impatti rilevanti anche sull’industria farmaceutica, quella manifatturiera, l’agricoltura e l’allevamento.
NON SOLO INTERNET E RETI - Un legge in nome della mobilità d’impresa che ovviamente favorisce le aziende più mobili, ma anche un cavallo di troia formidabile, perché qualora il TPP sia ratificato con tutti i crismi, Washington sarebbe obbligata a conformare le sue leggi a quel pacchetto già approvato in blocco siglando il “trattato internazionale”. Fino ad ora oltre agli americani sembrano partecipare i governi di Australia, Brunei, Cile, Malaysia, Nuova Zelanda, Vietnam. Perù e Singapore. Ai quali si sono di recente uniti Messico e Canada, ma ai quali ha fatto sapere di non essere interessato ad unirsi il Giappone, che guarda con più favore a un all’ASEAN+6  e al suo RCEP, nel quale ci sono Nuova Zelanda, Cina e India, ma non gli Stati Uniti, con i quali il Giappone ha già accordi commerciali di lunga data.
 
PRIVILEGI E DIRITTI - Non si tratterebbe quindi “solo” del consueto attacco a mano armata di copyright, ma di un vero e proprio colpo di mano che in generale porterebbe a stabilire una “miriade di privilegi e diritti” in capo alle aziende che fanno affari a cavallo di diverse frontiere, privilegi che poi farebbero premio sulle legislazioni dei singoli paesi, costretti ad adeguarsi. La parte che riguarda Internet colpisce evidentemente anche un gran numero di cittadini di altri paesi, che sui server americani trascorrono buona parte della loro vita digitale, ma anche le altre previsioni di legge possono migrare fin dentro ai paesi non firmatari una volta accolti da un blocco di paesi che conta circa il 30% dell’economia mondiale.
SONO SOLDI - La fissazione americana sulla protezione della proprietà intellettuale (PI) deriva evidentemente dall’essere quella americana un’economia che oggi si poggia principalmente sul suo sfruttamento. Il 74% dell’export americano è merito di industrie ad “alta intensità di PI” (Global Intellectual Property Center: “IP Creates Jobs for America,” NDP Consulting, May 2012.), che valgono il 38% del Pil statunitense e 14.6 miliardi di surplus commerciale con l’estero. La retorica sull’innovazione però non deve ingannare. Non corrisponde al vero che i brevetti siano lo stimolo e il giusto risarcimento per investitori e inventori, visto che questi ultimi raramente raccolgono retribuzioni significative. Vero invece il contrario, esistono modelli di business che consistono nel rastrellare brevetti a migliaia, anche e soprattutto da aziende fallite, e poi utilizzarli per estorcere denaro in nome del diritto al copyright violato. Niente che aiuti l’innovazione o gli investimenti, semmai l’esatto contrario. E a ricorrere a queste pratiche non sono oscure società pirata, ma le maggiori industrie dell’informatica e dell’IT su tutte. Ma gli avvocati delle major non possono certo consigliare loro di lasciar perdere per il bene di tutti e per l’impossibilità di sconfiggere e punire i pirati.
UN ABORTO ANCORA POSSIBILE - C’è comunque da sperare che anche il TPP come l’ACTA non riesca ad arrivare in fondo al suo cammino ideale. In fondo l’ACTA era stato firmato dai governi di  Australia, Canada, Giappone, Marocco, Nuova Zelanda, Singapore, Corea del Sud e Stati Uniti e infine, nel 2012, dal Messico, dall’Unione Europea e 22 dei suoi paesi. Non è servito a molto, nessun parlamento l’ha finora ratificato e l’Unione Europea lo ha consegnato alla pattumiera della storia, bocciandolo sonoramente in parlamento. Non c’è quindi da temere particolarmente il TPP, quanto piuttosto da registrare la pervicacia di certe industrie nel provare, anche con la frode e comportamenti ben poco rispettosi di cittadini e parlamenti, a far passare leggi assurde con le quali ottenere o mantenere privilegi assurdi a protezione degli interessi dei latifondisti del copyright e in genere delle grandi aziende transnazionali.

Fonte:http://www.giornalettismo.com/archives/495827/trans-pacific-partnership-il-nuovo-bavaglio-al-web/

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