L'eresia dolciniana, un movimento comunista primitivo

ago 15, 2015 0 comments


Di Alessandro Pellegatta

Parma, 18 luglio 1300. Sale al rogo Gherardino Segalello, il “giullare” “yidiota” fondatore dell’ordine degli Apostolici; ha alle spalle quarant’anni di attività, in cui ha predicato non senza successo il ritorno alla Chiesa delle origini contro la Chiesa scandalosamente ricca e corrotta del suo tempo, rifiutato la sottomissione alle gerarchie e agli ordini religiosi (gli Apostolici chiamano sé stessi “Minimi”, evidente provocazione verso i “Minori” francescani, accusati di aver deviato dai princìpi del loro fondatore), sostenuto la spoliazione dai beni terreni. Poenitentiagite è la sovversiva parola d’ordine che li accompagna, rivolta alle classi più basse e sottintende un rapporto diretto con dio praticando una vita di penitenza. Il 1300 è l’anno del primo Giubileo, indetto da Bonifacio VIII, con cui promette l’indulgenza plenaria dei peccati. La Chiesa grazie ai 200mila pellegrini raggiunge livelli di prestigio elevatissimi e raccoglie anche un’ingente quantità di elemosine. Non può perciò consentire che sopravviva chi mette in discussione sia la sua autorità che l’accumulo di ricchezza da parte degli ordini religiosi e delle gerarchie ecclesiastiche.







Al rogo assiste Dolcino, originario di Prato Sesia, che diviene la nuova guida degli Apostolici. Dolcino si porta a Bologna, quindi in Trentino (a Cimego si unisce a lui Margherita, che sarà la sua compagna), poi nella pianura bergamasca (di Bergamo è il suo luogotenente, Longino Cattaneo) dove viene coinvolto nello scontro dei ghibellini di Matteo Visconti con i guelfi; quindi raggiunge le porte della Valsesia.
La sua guida non solo garantisce la continuità del movimento, che conta ormai almeno 4mila seguaci, ma induce in un vero e proprio cambio di strategia.
FINO A QUANDO NON SARANNO DISTRUTTI DA ORRIBIL MORTE…
Dolcino eretico, Dolcino teologo, Dolcino autore di profezie.
Hàiresis, “eresia”, ovvero “la scelta”, ma il significato inquisitoriale è l’“errore” da perseguire. Il notevole lavoro di ricerca svolto dal Centro Studi Dolciniani a partire dal 1974 ci ha consegnato un’analisi approfondita (cui si rimanda) dell’escatologia di Dolcino e del suo raffronto con quella gioachimita.1 Dolcino riprende le teorie di Gioacchino da Fiore (Celico 1130 ca. - San Giovanni in Fiore 1202) e le profezie apocalittiche, comuni ai molti movimenti ereticali del suo tempo, ed in particolare della seconda metà del XIII secolo, le rielabora e le porta alle estreme conseguenze.
Secondo Gioacchino dalla prima età (del Padre) derivano in evoluzione lineare non traumatica le due successive (del Figlio e dello Spirito), alla fine delle quali l’uomo incontrerà dio senza mediazioni (sarà libero). Nella visione escatologica di Dolcino le età della chiesa sono quattro; la terza, che segue quelle dell’Antico Testamento (I) e di Cristo e gli apostoli (II, terminata col papa Silvestro e l’imperatore Costantino), ha determinato una frattura, con la chiesa di Roma (la “meretrix magna”) ed i prelati che, con l’eccezione del papa Pietro da Morrone (Celestino V), si sono allontanati dal modo di vivere dei primi santi. Questa era durerà “fino a quando chierici, monaci e religiosi non saranno distrutti da orribil morte”. La quarta è partita da Segalello, e ripristinerà il modus vivendi degli apostoli.
“Dolcino è un teorico della storia, un teologo e un esegeta, ha i tratti del “comunista scientifico” che basa la sua azione su una profezia, cioè su una visione dell’ineluttabile futuro. Alla credibilità del messaggio apostolico conferita da Segalello, Dolcino aggiunge la certezza della vittoria e un impianto culturale adatto allo scopo”.2
Nell’Inferno dantesco è Maometto ad affidare al sommo Poeta, che simpatizza per Dolcino, l’incarico di consigliare all’eretico di armarsi e procurasi viveri per resistere all’assedio che sta subendo sul monte Rubello.3
DOLCINIANI E VALSESIANI
Quando Dolcino arriva in Valsesia, gli abitanti della valle hanno alle spalle decenni di rivolte contro il giogo feudale. La Valsesia era stata usata di fatto dalla pianura come “merce di scambio” nel conflitto tra Vercelli e Novara. La pace del 1254 tra Milano, Pavia, Novara e Vercelli, con la conseguente spartizione, aveva assegnato a quest’ultima città il possesso della valle: “una vera e propria alleanza della pianura cittadina e feudale contro la montagna”.4 Sei anni dopo il rinnovo degli antichi patti dei Conti di Biandrate con Vercelli aveva inasprito la sottomissione della Valsesia, imponendo la cessione di tutti i beni a quegli abitanti che avessero voluto emigrare a Vercelli, ed una nuova tassa di mille lire pavesi.5 Il trattato di Gozzano del 1275, che concedeva ampia autonomia alla Valsesia, aveva accentuato le differenze tra la bassa valle e l’alta valle, quest’ultima più sensibile, per condizioni oggettive, al messaggio pauperistico e di liberazione sociale di Dolcino.
Nell’accattivarsi i valsesiani Dolcino, oltre ad un’intuizione “politica” legata alla necessità di sopravvivere, fa proprie le esigenze antifeudali della valle. Nella Valsesia a cavallo tra il XIII e il XIV secolo la proprietà della grande estensione terriera, dalle aree coltivabili ai boschi, è collettiva, la gestione viene decisa da assemblee di uomini liberi. Quest’assenza dello sfruttamento di classe è da ricondurre al fatto che la bassa resa del lavoro agricolo non garantisce un’eccedenza di cui appropriarsi monopolizzando i mezzi di produzione. “La comunità cristiana che Dolcino e Longino proponevano come precorritrice del “Regno”, è del tutto speculare, omologa a quella dei montanari, dove si riscontrano i medesimi valori fondamentali: solidarietà e fratellanza, comunione dei beni, rifiuto di ogni tipo di balzello (taglie o decime che fossero), parità uomo/donna, nessun servo e nessun padrone, ma Dio unico “Signore”, rifiuto del denaro”.6 Un’eresia che sostiene l’abolizione delle gerarchie, il rifiuto del versamento delle decime e del giuramento, dove il concetto stesso di penitenza si basa sul rapporto diretto tra uomo e dio “saltando” la mediazione sacerdotale, dove si sostiene che si può pregare meglio in un bosco o in una stalla piuttosto che in una chiesa consacrata, dove le donne al pari degli uomini interpretano le Scritture, predicano, combattono: regole e valori assolutamente inconciliabili con quelli della Chiesa cattolica, la cui autorità viene messa in pericolo.
Nel complesso e vasto panorama ereticale del medioevo l’esperienza di cui è fautore Dolcino nella “quarta età” che è già in corso assume tratti originali ed unici, attuando una comune ed organizzando l’autodifesa militare. Dunque un rifiuto dell’ “attesismo”.
Con la repressione militare la Chiesa cattolica ristabilisce i “valori” gerarchici ed oppressivi ribadendo la supremazia propria e dei feudatari, relegando la figura femminile ad uno stato inferiore ma soprattutto difendendo i propri privilegi terreni, la moneta.
TRATTI RIBELLI COMUNI NEL CORSO DEI SECOLI
Dolcino capo ribelle, Dolcino rivoluzionario, Dolcino grande stratega militare.
Si rifugia in Valsesia, resiste sulla Parete Calva, rompe l’assedio delle truppe vescovili con una marcia in condizioni estreme in mezzo alle nevi portandosi sul monte Rubello, e lì tiene la posizione con una strenua resistenza. Quanti uomini ha con sé per l’ultima battaglia? La forbice, secondo raffronti ed interpretazioni, va da quattrocento a millequattrocento tra uomini e donne, in numero calante a causa delle perdite non rimpiazzabili subite durante l’ultimo trasferimento tra i passi innevati ed in combattimento.7
Dunque risulta fondamentale l’appoggio fornito ai dolciniani8 dai montanari della Valsesia, fermamente e falsamente negato dai documenti ecclesiastici, senza il quale la resistenza non sarebbe stata possibile. Una regola comune, questa, che lega esperienze di guerriglia nel corso dei secoli: esperienze lontanissime, nello spazio e nel tempo, che però presentano affinità davvero notevoli. Come non trovare analogie tra Dolcino e Lucio Cabañas, capo della guerriglia contadina condotta sulla Sierra Madre del Sur, nel Guerrero (Messico) a cavallo tra gli anni ’60 ed i ’70, di aperta impronta pauperistica (Partido de los Pobres, Partito dei Poveri)? Un’esperienza di guerriglia (condannata alla sconfitta in quanto espressione di un modo di produzione arretrato nel contesto capitalistico, ed isolata dal proletariato urbano) condotta in un’area rurale poverissima a forte connotazione indigena, dove sopravvivevano forme assembleari e di coltivazione collettiva tramandate nei secoli proprio come nella Valsesia delle “vicinanze”, dove un movimento guerrigliero non avrebbe potuto agire con continuità senza radicarsi e ricevere l’appoggio delle comunità della Sierra. E non si trovano forse tratti comuni tra la resistenza dolciniana e la lotta antifascista sulle nostre montagne, riguardo solo al “supporto logistico” fornito dai montanari alle bande partigiane? Col terrore non si resiste a lungo, come dimostra anche l’ultima fase della resistenza dolciniana, privata del supporto delle popolazioni dei paesi a ridosso del Rubello.
DALLA RESISTENZA ALLA SCONFITTA
Dopo una permanenza a Campertogno, in fondovalle, i dolciniani si spostano sulla Cima delle Balme e quindi, in tarda estate del 1305, sulla Parete Calva. Il vescovo di Vercelli Ranieri Avogadro unitamente a quello di Novara lancia l’offensiva militare, i dolciniani sono assediati ma resistono, riuscendo a compiere incursioni improvvise contro il nemico, devastando chiese (ritenute il tempio dei farisei nemici del Vangelo) e le case delle autorità simbolo del potere cittadino, sequestrando il podestà di Varallo liberato dopo un forte riscatto. Dopo quindici mesi di resistenza i dolciniani attraversano i passi innevati con una marcia durissima e si portano nel biellese, sul monte Rubello, dove arrivano nel marzo 1306. Erigono palizzate, costruiscono fosse, pozzi e gallerie. Due mesi dopo gli eretici escono vittoriosi da una sanguinosa battaglia fingendo di ritirarsi, in realtà accerchiano il nemico che sale sulle posizioni che crede sguarnite. Nei mesi successivi gli eretici stretti d’assedio dai crociati dai balestrieri genovesi reagiscono effettuando rapide incursioni nelle linee nemiche approfittando della nebbia e della pioggia per procurarsi vettovaglie, saccheggiare e distruggere arredi sacri, campane e campanili eliminando in tal modo pericolosi segnali d’allarme e potenziali punti di avvistamento.9 Il papa Clemente V invia le bolle agli inquisitori lombardi, all’arcivescovo di Milano a Lodovico di Savoia ordinando di perseguitare Dolcino “figlio di Satana” e “nemico dell’umanità” con tutti i suoi. Arriva l’inverno ed è terribile, il vescovo fa evacuare ed incendia villaggi a ridosso del Rubello per isolare completamente gli eretici, stremati e alla fame. Nel marzo 1307 i crociati sferrano l’attacco decisivo, i dolciniani sono spossati e denutriti, ma combattono strenuamente fino al 23 marzo, quando capitolano. Dolcino, Margherita e Longino vengono catturati assieme ad altri centocinquanta prigionieri. Margherita potrebbe salvarsi abiurando ed accettando offerte di matrimonio di nobili biellesi, ma rifiuta. Per i tre è il rogo, dopo orribili torture.
IL MARXISMO E L’ESPERIENZA DOLCINIANA
In un passaggio del fondamentale testo sulla guerra dei contadini in Germania Engels scrive che nel medioevo “tutti gli attacchi generalmente mossi contro il feudalesimo dovevano rappresentare anzitutto attacchi contro la chiesa; tutte le dottrine rivoluzionarie, sociali e politiche dovevano essere al tempo stesso e prevalentemente eresie teologiche. Quindi per poter intaccare le condizioni sociali esistenti, bisognava toglier loro l’apparenza di sacro. L’opposizione rivoluzionaria contro la feudalità si svolge lungo tutto il medioevo. Essa si presenta, a seconda delle circostanze, come mistica, come eresia apertamente dichiarata, come insurrezione armata”.10
Engels distingue le eresie delle città da quelle dei contadini e dei plebei: le prime, dove prevale l’elemento borghese, si fermano al richiamarsi alla chiesa delle origini contro i privilegi del clero, mentre le seconde non si limitano a ciò bensì vanno ben oltre rivendicando l’eguaglianza tra nobili e contadini, cittadini e plebei, chiedendo l’abolizione di dazi e imposte, sfociando per questo spesso in movimenti insurrezionali. “Questa azione, intesa ad oltrepassare non solo il presente ma perfino il futuro, non poteva essere che violenta, fantastica e, al primo tentativo di pratica attuazione, doveva ricadere nei limiti ristretti che le condizioni dell’epoca permettevano”.11 Limiti che non possono che riguardare anche l’esperienza dolciniana: l’illusione di un’imminente liberazione attuata da un “nuovo Federico” che sterminerà il clero corrotto, dell’arrivo di un nuovo papa santo e dell’Anticristo. Dolcino condizionato dalla sua visione fantastica, Dolcino dalla parte degli “ultimi”, Dolcino “troppo moderno per la sua epoca, [il suo messaggio] troppo avanzato e rivoluzionario [..] mai avrebbe potuto vincere”. 12
Una vera e propria linea politica, quella dell’eresia dei contadini e dei plebei, che due secoli e mezzo dopo l’esperienza degli Apostolici troverà un’applicazione sul campo in Germania con Thomas Münzer (Stolberg, Harz 1489 ca. - Mühlhausen 1525) a capo delle insurrezioni contadine.
Gli studiosi dolciniani sostengono che l’analisi marxista del fenomeno ereticale, ed in particolare degli Apostolici, non sarebbe esente da limiti, in particolare partirebbe “da uno schema teorico generale (la concezione materialistica della storia) e prescindendo dall’analisi delle specificità”.13 La critica mossa parte però da un errore: essa viene formulata citando Pietro Secchia il quale, in un suo scritto del 1960,14 parla di Dolcino liquidando grossolanamente i termini del rapporto tra condizioni economiche e religione. L’errore consiste nell’accomunare al marxismo un personaggio come Secchia, che nulla ha a che fare col comunismo rivoluzionario, un “ortodosso” di stretta osservanza staliniana che ha scritto pagine tra le più infami contro le “eresie” “bordighiste” e “trotzkiste”. Non si possono far risalire le volgarizzazioni di un Secchia ad Engels!
Il fondatore del comunismo scientifico, pur ribadendo che le condizioni economiche rappresentano l’elemento determinante dell’evoluzione storica, stabilisce un punto fermo quando dice che esse non sono le sole cause attive; in ogni caso “l’evoluzione politica, giuridica, filosofica, religiosa, letteraria, artistica, ecc. poggia sull’evoluzione economica [dunque vi è] azione reciproca sulla base di una necessità economica che, in ultima istanza, sempre s’impone”.15 Inoltre negli scritti dei maestri del marxismo trova non poco spazio l’analisi tra proprietà e potere feudale.
Una critica che invece ha fondamento è quella di prendere atto dello scarsissimo livello di attenzione da parte della sinistra comunista nei confronti dei movimenti ereticali del medioevo, e di Dolcino in particolare: solo poche e sbrigative citazioni, in genere fatte di giudizi liquidatori su “pie illusioni”.
Per trovare un marxista che si soffermi su Dolcino occorre tornare ad Antonio Labriola, che eleva l’eretico valsesiano a martire ed anticipatore della storia.16
Per il movimento operaio e socialista, al contrario, il monte Rubello assume un forte significato simbolico.
Nel 1877 i sentieri già battuti dai dolciniani vengono ripercorsi dai capi della grande lotta degli operai tessitori del Biellese.17
Il 15 agosto 1895 oltre centocinquanta socialisti del Biellese si riuniscono sul Rubello per dare vita al “Corriere Biellese”.18
Nel 1898 ripercorre i sentieri dei dolciniani l’operaio cartario Federico Scaramuzzi, in fuga dalla repressione di Bava Beccaris.
Sei secoli dopo, nel 1907 viene attuata l’idea di costruire un obelisco di undici metri di altezza dedicato a Dolcino sulla cima del monte Massaro, adiacente al Rubello. Operai del Biellese prestano la propria opera volontaria, spesso dopo essere smontati dal turno di notte in fabbrica. I lavori terminano il 15 luglio; lastre di marmo assai pesanti con incisi i versi danteschi vengono trasportate sulla cima a dorso di mulo. L’11 agosto l’inaugurazione ufficiale, con 10mila persone giunte dal Biellese (con corse speciali della tranvia per Valle Mosso), dalla Valsesia e da altre parti d’Italia, con centinaia di bandiere rosse dei circoli socialisti e delle leghe operaie e contadine (ma non mancano quelle degli anarchici, dei repubblicani e dei massoni).

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