Karl Maria Wiligut:l'anima gnostica del III Reich

giu 6, 2015 0 comments


Di Luca Leonello Rimbotti
 Giunge quindi quanto mai a proposito la traduzione italiana del libro di Hans-Jürgen Lange La luce del Sole Nero. Il Rasputin di Himmler e i suoi eredi, pubblicato dalle Edizioni Settimo Sigillo.

Si tratta della biografia di Karl-Maria Wiligut, altrimento noto come “Weisthor”, il bizzarro ariosofo e runologo che per qualche anno collaborò con laAhnenerbe di Himmler occupando una posizione di potere all’interno delle SS, e ritagliandosi un suo spazio come personaggio storico del Novecento. Tale spazio, sia pure di nicchia, o forse proprio per questo, rende il soggetto quanto mai appetibile per tutte quelle letture “demoniache” del Nazionalsocialismo che vanno per la maggiore, e che invece costituiscono il lato meno nobile e più plebeo di una realtà – quella dell’esoterismo nazionalsocialista – che giocò un suo ruolo come sistema di valori ideologici legati al pensiero mitico.
Il libro in parola contiene uno scritto di Lange che diligentemente ripercorre i non molti aspetti noti della vita di Wiligut e ne ricostruisce le tappe del disagio psichico che lo afflisse nel primo dopoguerra, cercando di precisare per quanto possibile anche i suoi rapporti col Reichsführer-SS e infine dando qualche contorno al tipo di pensiero “irminista” che governava la mente di quello strano ricercatore dell’occulto. Ma il libro contiene anche una grande mole di materiale documentale, dalle relazioni mediche sulla salute mentale di Wiligut ad alcuni brani di suoi scritti visionari, da estese note sul castello SS di Wewelsburg e su altri luoghi sensibili della sacra geomanzia nordica, fino alla residua corrispondenza fra l’erudito nordicista e alcuni protagonisti delle cerchie neopagane allora al centro anche degli eventi politici: innanzi tutto Himmler, ma anche personaggi all’epoca in posizione-chiave, come ad es. Otto Plassmann o Wilhelm Teudt, autorevoli membri delle SS e dirigenti della rivista “Germanien”, che durante il Terzo Reich fu un’oracolare pubblicazione in materia di archeologia germanica, simbolismo ario e antropologia indoeuropea. Ma il testo contiene anche gli interessanti giudizi (negativi) di Wiligut su Evola: il primo, che era un autodidatta che seguiva metodi di studio del germanesimo primordiale a dir poco personali e a-scientifici, curiosamente definiva il secondo un dilettante, e la cosa non mancherà di far piacere a taluni odierni corifei del Barone, interessati a staccarne la figura dall’inquinante contatto con le SS. Oppure, ancora, rileviamo che nel suo discorso Lange si appoggia non poco alla biografia di Wiligut pubblicata a Vienna nel 1982 da Josef J. Mund (considerato una sorta di seguace o continuatore del pensiero dell’esoterista), che per primo lanciò il personaggio a livello divulgativo, inserendolo a pieno titolo nel pericoloso terreno dell’occultismo nazionalsocialista.
Una considerazione generale di Wiligut e della sua ideologia del primato germanico proveniente dalle oscurità del più lontano passato, non può che riferirsi a quel vasto fenomeno di rinascita del pensiero mitico che, negli anni fra le due guerre mondiali, interessò l’intera Europa, coinvolgendo anche personalità di primo livello, a cominciare da Yeats, Pound o Eliade. La fonte di tale “mentalità magica”, in terra tedesca era il grande bacino delle memorie tribali germaniche, cui i pensatori nordicisti ed ariosofi riandavano col senso di rianimare le origini prime del comunitarismo arcaico, tutto impregnato di mistica naturalista e di devozione pagana alle energie del creato. In questo sforzo, personaggi come Wiligut vennero come noto preceduti da tutta una schiera di pensatori di forte tempra neo-germanica, a far data da Julius Langbehn fino a Guido von List o Jörg Lanz von Liebenfels, attivi negli anni del risveglio dell’ideologia paganista ed ariana già in corso durante il Secondo Reich, oppure a ridosso dei primi atti della nascente NSDAP. A questo proposito, rileviamo che Marcello De Martino – curatore della collana “Giano. L’altra storia” delle Edizioni Settimo Sigillo.

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Tale corrente, pur magari minoritaria in confronto alle tendenze di pensiero politico o sociale allora interessanti intere masse, ebbe tuttavia un non trascurabile peso nel condizionare settori importanti dell’ideologia e dell’attivismo nazionalsocialisti, contribuendo in maniera decisiva a orientarne scelte, simbolismi, richiami valoriali: e basti dire che, ad esempio, uomini come Walter Darré e Heinrich Himmler, ai vertici del potere politico nazionalsocialista, durante il Terzo Reich influenti ministri di Stato aventi rango ideologico di prima grandezza, ed entrambi provenienti dalla formazione ideologica dell’Artamanenbund (rilevante cerchia ideologica pangermanista di orientamento pagano e razzialista, attiva nell’immediato primo dopoguerra), furono entrambi a stretto contatto con Wiligut, nel momento in cui costui, per un periodo, si presentò con credibili titoli “sapienziali” per influire sulla lettura mitica e magista del passato e del destino tedeschi.
Insomma Wiligut, l’anziano ex-ufficiale austro-ungarico posseduto da visionarismo medianico circa la sostanza del germanesimo eterno, costituì una delle cerniere fra questo genere di riflessione irrazionalistico-intuitiva e il moderno movimento politico nazionalsocialista. In questo modo, con Wiligut, come scrive De Martino, «siamo dinanzi davvero a un soggetto che fece di tutto perché quella particolare congerie folcloristico-mitologizzante che pervase la Germania degli inizi del secolo scorso, ossia la corrente cosiddetta völkisch, fosse un elemento fondativo dell’ideologia nazionalsocialista». Discorso esatto, laddove si precisi ovviamente che il vocabolo italiano “folcloristico”, traducente imperfettamente il tedesco “völkisch”, non va inteso nel senso della sagra paesana o del mercatino etnico, bensì nel senso profondo di un’appartenenza rivendicata radicalmente come facente parte della sostanza atavica, razziale, anìmica del popolo.
A questo milieu culturale appartenevano, tra molti altri, gli studi di simbolica tradizionale, cui già il mondo tedesco era da tempo versato (si pensi a un Bachofen o a un Creuzer, metà Ottocento). E Lange non per caso ha modo di ricordare figure come quella di Herman Wirth, che fu in contatto con Wiligut all’interno della Ahnenerbe. Ma poi si viene anche ad imbattersi in altri personaggi dell’universo SS che ebbero modo di conoscere Wiligut, fra cui Ernst Schäfer, il naturalista che guidò la famosa spedizione scientifica in Tibet nel 1939, oppure Walther Wüst, presidente della Ahnenerbe. L’uno e l’altro, per la verità, non lasciarono di Wiligut un ritratto lusinghiero: pesava, in questi giudizi, la natura leggermente borderline dell’esoterista, solito ad affidarsi ad arcane intuizioni piuttosto che a studi severi.
Nei suoi viaggi per la Germania alla ricerca di nobili reperti del germanesimo, come scrive Lange, «Wiligut/Weisthor faceva talvolta fermare l’automobile, indicava un posto preciso e chiedeva che si scavasse». Sarà stato per questa sua troppo sbrigliata vena irrazionalistica, o forse perché a un certo punto venne fuori una sua antica frequentazione di una clinica per disturbi psichiatrici, fatto sta che Wiligut nel febbraio 1939 venne depennato dagli organigrammi della SS, avviandosi a condurre gli ultimi anni, fino alla morte nel 1946, in una stanca e anonima vecchiaia. Resta il fatto che, come ha scritto Rudolf Mund, «la cosa più sorprendente in lui era che attingeva da se stesso. Tutti quelli che erano attirati dalla sua personalità, erano mossi da un impulso per la ricerca; egli, il primordiale, possedeva il sapere per rispondere alle domande». Matto allucinato, per la corrente laicità del pensiero debole, più o meno cartesiano. Ma, forse, quell’uomo era davvero un relitto di epoche in cui la sapienza aveva contorni magico-misterici, a contatto con le radici insondabili dell’origine.

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