L'analisi dell'economista Giulio Sapelli: "L'Italia è un paese governato dall'esterno. È ora che si torni a votare"

ott 27, 2016 0 comments
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Intervista di Alessandro Franzi a Giulio Sapelli
Di Alessandro Franzi
«Soltanto quando apriranno gli archivi, sapremo come è andata davvero nel 2011. Ma credo che Giorgio Napolitano sarà giudicato negativamente dagli storici». Giulio Sapelli, storico ed economista, è sempre stato un feroce critico della stagione dei tecnici, in particolare del ruolo attivo avuto dall'allora presidente della Repubblica nel nominare Mario Monti al posto di Silvio Berlusconi, «senza un voto di sfiducia del Parlamento». Nel 2012 pubblicò fra l'altro un pamphlet intitolato L'inverno di Monti. Cinque anni dopo il cambio alla guida del governo sotto la pressione dei mercati, Sapelli non ha cambiato idea. Rispondendo a Linkiesta ha detto di essere convinto che la caduta di Berlusconi sia stata solo l'atto finale di una ventennale stagione politica, in cui lo stesso leader di Forza Italia ha però fatto degli errori: «Non è stato un politico ed è rimasto vittima di questo paradosso. Lui e il ministro Tremonti, che ritengo fosse il vero avversario dell'Europa, avrebbero dovuto alzare la voce». Secondo Sapelli, l'Italia resta storicamente «un paese a sovranità limitata», ed è per questo che ritiene che anche un voto negativo al referendum costituzionale non darà particolari scossoni al sistema. Però il professore dell'università statale di Milano non vede altro sbocco dopo il 4 dicembre: «Comunque vada, bisogna tornare finalmente a votare. E vinca chi deve vincere».

Professore, torniamo a quel 2011. Lei non ha mai cambiato idea. 
È stato fatto allora un atto gravissimo, che ha creato un vulnus nella storia costituzionale europea: hanno fatto dimettere un Governo, senza che fosse sfiduciato dal Parlamento. In altri paesi, non in Italia, il presidente della Repubblica sarebbe finito sotto impeachment.
Ma perché il governo Berlusconi doveva andare a casa?
Doveva andare a casa perché Berlusconi è sempre stato un personaggio anti-establishment, era contro tutte le forme di regolamentazione. Non dimentichiamoci che la prima volta cavalcò Mani Pulite e vinse usando il populismo. Lui, alla regolamentazione, non si adeguava mai. Ma nemmeno è riuscito ad avere un programma alternativo. Vede, inizia tutto già nel 1994, quando gli mandano un'informazione di garanzia durante la Conferenza Onu di Napoli. Le vittorie dell'Ulivo, poi, sembravano averlo fermato. Ma così non è stato. Quella contro Berlusconi è dunque una miccia lunga, che è stata fatta esplodere quando è arrivata la crisi del 2008. E poi non bisogna dimenticare che dietro Berlusconi c'era Tremonti.
Che cosa intende dire?
Secondo me il vero avversario dell'Europa era Tremonti, il ministro dell'Economia, che aveva scritto tutte le sue critiche alle politiche europee, facendo però un errore. Le aveva fatte avere ai tecnocrati e non le aveva denunciate pubblicamente, almeno in Parlamento. Detto questo, l'origine di tutto quello che è acccaduto si può trovare nei documenti che Tremonti stesso ha pubblicato nel suo libro 'Uscita di sicurezza'. E' tutto lì, andate a rileggervelo".
Quindi il governo Berlusconi è stato fatto fuori, secondo lei, ma ha commesso anche molti errori. Allora negava persino che ci fosse la crisi, anche questo è stato un errore?
Ma no, non diciamo stupidaggini. Il problema di Berlusconi è che non attaccava l'Europa, il problema è che non si era ribellato a chi faceva discorsi in giro per il mondo, come i Ciampi e i Padoa-Schioppa, che suonavano così: che l'Italia non ce l'avrebbe fatta senza uno choc esterno.

Quindi Berlusconi è stato debole?
Non è stato un politico. Berlusconi è rimasto vittima di questo paradosso: la sua fortuna è stata quella di non essere un politico, ma proprio per questo lo hanno colpito usando a Costituzione. Credo che Napolitano sarà giudicato negativamente dagli storici".
Come avvennero secondo lei le pressioni a favore del Governo Monti?
Ci sono state pressioni internazionali da parte tedesca e da parte francese, che usarono proprio quei documenti di Tremonti contro le politiche europee. Napolitano, sbagliando, rispose a queste pressioni, non capendo che avrebbe dovuto ascoltare non i tedeschi o i francesi, ma gli americani, con cui Monti ha poi lasciato pessimi rapporti. Gli stessi americani che, non a caso, qualche tempo dopo hanno caldeggiato l'arrivo di Matteo Renzi.
E Monti che cosa ha lasciato?
Niente.
Come niente?
Le dico: niente. Monti ha fatto tutta una politica contraria a quella che avrebbero voluto anche gli Stati Uniti: in un momento di crisi ha aumentato le tasse. Nei due anni in cui c'è stato lui, Monti ha mandato indietro il Pil di due punti con le sue politiche recessive e non anticicliche. Personalmente sono convinto che il suo compito fosse di distruggere la manifattura italiana, altrimenti non mi spiego come con la legge Fornero abbia deciso di far lavorare fino a 67 anni: uno che prende una decisione del genere non conosce l'industria. Ma l'interessante, di tutta questa faccenda, non è che cosa abbia lasciato Monti ma è appunto l'intreccio Monti-Napolitano. Ci vorrà ancora del tempo, lo si potrà capire meglio quando saranno aperti gli archivi.

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