Il sogno dell’Arabia Saudita di diventare la potenza araba e musulmana dominante nel mondo è fallito completamente

gen 10, 2017 0 comments
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Di  Patrick Cockburn
Non più tardi di due anni fa, il tentativo durato un  secolo, dell’Arabia Saudita di imporsi come la potenza principale tra gli Stati Arabi e Islamici sembrava stesse avendo successo. Un documento del Dipartimento di Stato inviato dall’ex Segretario di Stato, Hillary Clinton, nel 2014 e pubblicato da Wikileaks, parlava dei sauditi e dei qatarioti come rivali che gareggiavano per “dominare il mondo sunnita”.
Un anno più tardi, nel dicembre 2015, i servizi segreti tedeschi, BND (Servizio federale di informazione – Bundesnachrichtendienst), erano così preoccupati per la crescente influenza dell’Arabia Saudita, che fecero il passo straordinario di produrre un promemoria in cui si diceva che “la precedente cauta posizione diplomatica di membri importanti più anziani  della famiglia reale sta venendo sostituita da una precipitosa politica di intervento.”
Un  governo tedesco imbarazzato costrinse il BND a smentire, ma nello scorso anno le sue paure sull’impatto destabilizzante di politiche saudite più aggressive, furono più che realizzate. Ciò che non presagì fu la velocità con cui l’Arabia Saudita avrebbe visto le sue ambizioni sconfitte o frustrate su quasi ogni fronte. Nello scorso anno, l’Arabia Saudita ha però visto i suoi alleati nella guerra civile siriana, perdere l’ultimo grosso centro urbano ad Aleppo Est. Qui, almeno l’intervento Saudita era indiretto, ma in Yemen il coinvolgimento diretto della macchina militare saudita enormemente costosa, non era riuscita a produrre una vittoria. Invece di una riduzione dell’influenza iraniana da parte da una politica saudita più energica, era avvenuto l’esatto opposto. Nel più recente incontro dell’OPEC, i sauditi hanno accettato di ridurre la produzione del greggio mentre l’Iran l’ha aumentata, una cosa che Riyadh aveva detto che avrebbe sempre rifiutato.
Negli Stati Uniti, il garante finale del prolungato governo della Casa di Saud, cioè il Presidente Obama, ha permesso che venisse citato per essersi lamentato della convenzione a Washington di trattare l’Arabia Saudita come amica e alleata. A livello popolare, c’è una crescente ostilità verso l’Arabia Saudita che si riflette nel voto quasi unanime al Congresso, di permettere alle famiglie delle vittime dell’11 settembre, di perseguire legalmente il governo saudita come responsabile dell’attacco.
Sotto la guida volubile del vice Principe della Corona e Ministro della Difesa, Principe Mohammed bib Salman, la più potente figura nell’attività decisionale saudita, la politica estera del paese è diventata più militaristica e nazionalistica, dopo che suo padre Salman, di 80 anni, divenne re il 23 gennaio 2015. Seguì l’intervento militare saudita in Yemen come anche un maggiore aiuto a un’alleanza ribelle in Siria in cui la forza combattente più potente era Jabhat al-Nusra, ex affiliato siriano di al-Qaida.
Niente è andato bene per i sauditi in Yemen e in Siria. Apparentemente i sauditi si aspettavano che gli Houthi venissero rapidamente sconfitti dalle forze favorevoli ai sauditi, ma dopo 15 mesi di bombardamenti, i sauditi e il loro alleato, l’ex presidente Saleh hanno ancora la capitale Sanaa e lo Yemen del Nord. Il prolungato bombardamento del paese più povero del mondo arabo, a opera del paese più ricco, ha provocato una catastrofe umanitaria in cui almeno il 60% dei 25 milioni che formano la popolazione yemenita, non hanno da mangiare o da bere a sufficienza.
L’accresciuto coinvolgimento saudita in Siria nel 2015, a fianco degli insorti, ha avuto conseguenze analogamente dannose e inaspettate. I sauditi erano succeduti al Qatar come principali sostenitori arabi dell’insurrezione siriana del 2013, convinti che i loro alleati siriani potessero difendere il Presidente Bashar al-Assad o indurre gli Stati Uniti a farlo per loro. In quel caso, la maggiore pressione militare su Assad servì soltanto a fargli cercare maggiori aiuti dalla Russia e dall’Iran e accelerò l’intervento militare russo nel settembre 2015 che gli Stati Uniti non erano preparati ad affrontare.
Il Principe Mohammed bin Salman ora viene incolpato dentro e fuori del Regno per errori di valutazione impulsivi che hanno provocato fallimento o uno stallo. Sul fronte economico, il suo progetto Vision 2030, per mezzo del quale l’Arabia Saudita    deve diventare non così completamente dipendente dalle entrate del petrolio e più come un normale stato non-petrolifero, fin dall’inizio ha attirato scetticismo misto a derisione. E’ dubbio se ci sarà un grande cambiamento nel sistema di patrocinio per cui un’alta percentuale delle entrate del petrolio verranno spese per dare lavoro ai sauditi, indipendentemente dai loro requisiti o della volontà di lavorare.
Le proteste da parte della forza lavoro straniera dell’Arabia Saudita che ammonta a 10 milioni di persone, cioè un terzo della popolazione di 30 milioni, perché non è stata pagata, può essere ignorata o soppressa da fustigazioni e carcerazione. La sicurezza dello stato saudita non è minacciata.
Il rischio per i governanti dell’Arabia Saudita, del Qatar e di altri stati del Golfo, è   che l’arroganza e le pie illusioni li abbiano invogliati a cercare di fare delle cose molto al di là della loro forza. Nulla di quanto detto è una novità e gli Stati del Golfo hanno continuato ad aumentare il loro potere nel mondo arabo e in quello musulmano fin da quando i regimi nazionalisti in Egitto, Siria e Giordania furono sconfitti da Israele nel 1967. Scoprirono – e ora l’Arabia Saudita sta scoprendo la stessa cosa . che il nazionalismo militaristico funziona bene per favorire il sostegno ai governanti sotto pressione fino a quando possono promettere la vittoria, ma li delegittima quando hanno subito una sconfitta.
In precedenza, l’Arabia Saudita e gli stati del Golfo avevano operato attraverso alleati e delegati, ma questo vincolo  terminò con l’insurrezione popolare del 2011. Il Qatar e in seguito l’Arabia Saudita si orizzontarono verso il sostegno a un cambiamento di regime. Le rivoluzioni si trasformarono in controrivoluzioni con una forte  avanguardia settaria in paesi come Iraq, Siria, Yemen e Bahraein, dove c’erano popolazioni sunnite e non-sunnite.
I critici delle politiche dell’Arabia Saudita e del Qatar spesso le demonizzano in quanto astute ed efficaci, ma la loro caratteristica più straordinaria è la loro estrema confusione e ignoranza delle vere condizioni locali. Nel 2011, il Qatar credeva che Assad potesse essere rapidamente cacciato dal potere, proprio come  Muamar Gheddafi in Libia. Quando questo non accadde, vi hanno “iniettato” denaro e armi a casaccio, sperando, allo stesso tempo, che si potessero persuadere gli Stati Uniti a intervenire militarmente per rovesciare Assad come aveva fatto  la NATO in Libia.
Gli esperti di Siria discutono sulla  misura in cui i Sauditi e i Qatarioti   finanziavano lo Stato Islamico e vari cloni di al-Qaida. La risposta sembra essere che non sapessero  e che spesso non si preoccupassero  di chi fossero esattamente coloro che finanziavano e che, in ogni caso, l’aiuto spesso arrivava da individui facoltosi e  non dal governo saudita o dai servizi di intelligence.
Il meccanismo per mezzo del quale il denaro saudita finanzia i gruppi jihadisti estremisti, è stato spiegato in un articolo di Carlotta Gall pubblicato sul New York Times in dicembre che trattava del modo in cui i Sauditi avevano finanziato i Talebani dopo la loro sconfitta nel 2011. Questo articolo cita l’ex ministro talebano delle finanze, Agha Jan Motasim, che ha spiegato in un  articolo in che modo andava in Arabia Saudita per raccogliere grosse somme di denaro da privati  che veniva poi di nascosto trasferite in Afghanistan. I funzionari afgani hanno dichiarato che una recente offensiva lanciata da 40.000 talebani è costata 1 miliardo di dollari ai donatori stranieri.
Il tentativo dell’Arabia Saudita e degli stati del petrolio di ottenere l’egemonia nel mondo arabo e in quello sunnita musulmano, si è dimostrato disastroso per quasi tutti. La conquista di Aleppo Est da parte dell’esercito siriano e la probabile caduta di Mosul nelle mani dell’esercito iracheno significa sconfitta per gli Arabi sunniti in una grande fascia di territorio che si estende dall’Iran al Mediterraneo. In gran parte grazie ai loro benefattori del Golfo, affrontano una sudditanza permanente nei confronti di governi ostili.
Traduzione di Maria Chiara Starace per http://znetitaly.altervista.org/

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